Il ruolo delle anfore in vinificazione: moda o ritorno alle origini?

发布时间:2025-09-04 01:21

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Negli ultimi dieci anni, la vinificazione in anfora è passata dall’essere una curiosità per pochi produttori “fuori dagli schemi” a una scelta ben visibile nei cataloghi di molte cantine. È ormai normale trovare botti, tonneaux, vasche in acciaio… e qualche anfora in bella mostra durante le visite o ai banchi d’assaggio. Ma la domanda è: si tratta di una scelta enologica consapevole o di una trovata di marketing?


Un contenitore con 8.000 anni di storia

Le anfore per il vino non sono un’invenzione contemporanea: la loro storia affonda le radici in Georgia, dove le qvevri – grandi vasi di terracotta interrati – venivano usate per fermentare e affinare il vino.

L’interramento stabilizzava naturalmente la temperatura, mentre la porosità dell’argilla permetteva un passaggio costante di ossigeno. La forma interna facilitava la separazione delle fecce e un rimescolamento dolce e continuo.

Da lì, la tecnica si diffuse in Grecia, a Roma, in Etruria, per poi essere soppiantata nel tempo da contenitori in legno e metallo. Oggi la riscoperta è frutto di un doppio impulso: il desiderio di autenticità e il bisogno di strumenti tecnici alternativi a legno e acciaio.


Materiali e differenze

Parlare di “anfora” al singolare è riduttivo: non tutte sono uguali. La terracotta non vetrificata, con la sua porosità naturale, consente una micro-ossigenazione costante e può perfino modificare lievemente il pH del vino. La versione vetrificata, invece, riduce quasi a zero la permeabilità, facilitando la pulizia e limitando il contatto diretto con l’argilla. 

C’è poi il gres ceramico - ad esempio la ormai notissima Clayver di Luca Risso e soci - molto resistente e praticamente inerte, scelto da chi vuole neutralità assoluta, e infine il cemento non vetrificato, che condivide con la terracotta la porosità ma ha una maggiore inerzia termica, utile per mantenere temperature stabili.


Vantaggi e limiti

L’anfora ha una capacità naturale di stabilizzare la temperatura grazie alla massa del materiale e di consentire un apporto di ossigeno più delicato rispetto al legno, senza però cedere aromi terziari.

Il profilo aromatico che ne risulta è spesso più pulito e centrato sul varietale, qualità che la rende ideale per esaltare vitigni aromatici o bianchi macerati. La forma interna, priva di spigoli, favorisce un lento movimento delle fecce fini, contribuendo alla complessità.

Non è però priva di insidie: la porosità può diventare un rifugio per microrganismi indesiderati, la fragilità rende le rotture un rischio concreto e alcune argille cedono note minerali o terrose non sempre volute. Inoltre, l’investimento iniziale non è trascurabile e richiede formazione specifica.


Micro-ossigenazione: anfora vs legno

L’anfora e il legno condividono la capacità di far “respirare” il vino, ma in modi diversi. Nei tonneaux e nelle botti, la micro-ossigenazione è legata non solo alla porosità del legno, ma anche alla sua tostatura e spessore. In media, una botte nuova può rilasciare tra 20 e 45 mg/L di ossigeno all’anno; una botte usata, molto meno, anche sotto i 10 mg/L.

Le anfore in terracotta non vetrificata tendono a collocarsi nella fascia bassa di ossigeno disciolto, intorno ai 5–15 mg/L/anno, con variazioni dovute allo spessore e alla qualità dell’argilla. 

Questa differenza significa che in anfora l’evoluzione ossidativa è più lenta e delicata: meno rischio di sovra-ossidare un vino giovane, ma anche una minore possibilità di “arrotondare” rapidamente tannini aggressivi. Per questo l’anfora è più indicata per vitigni già equilibrati o per chi cerca un affinamento prolungato senza interventi invasivi.


Casi concreti in Italia

In Italia ci sono produttori che hanno costruito parte della loro identità proprio sull’uso dell’anfora: a parte il maestro di tutti, Josko Gravner, COS in Sicilia, tra i primi a crederci, ha sviluppato linee intere così; Elisabetta Foradori in Trentino ha puntato su anfore spagnole per i suoi bianchi macerati e rossi ormai leggendari, Paolo Bea in Umbria la utilizza in un contesto di vinificazione naturale, sfruttandone la delicatezza ossidativa.

Anche molti produttori all'interno del nostro catalogo lavorano in anfora o anche in anfora, vi basterà spulciare il catalogo per trovare moltissimi vini vinificati in questo modo, come per esempio il Timox di Paolo Ghislandi di I Carpini, l'Albana di Romagna di Giovannini prodotto solo in bottiglie Magnum per accentuarne equilibrio ed eleganza, lo Chardonnay macerato l'Ov di Maso Grener, fuori campionato per la particolarità del vino, il Musco di Palazzone che non fa anfora ma affina per una parte del tempo in grandi damigiane di vetro.


L’anfora non è una scorciatoia per fare “vino naturale” e non è nemmeno un vezzo da etichetta. È uno strumento con potenzialità e limiti ben precisi, che funziona solo se inserito in un progetto coerente.

Quando è scelta per esaltare il carattere di un vitigno e uno stile, con la giusta esperienza e consapevolezza nel suo utilizzo - spesso servono diverse prove per capire bene come sfruttarle - può regalare vini di grande personalità.

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